Il giuramento di Ippocrate.

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Il giuramento di Ippocrate.

Testo “classico”:

Giuro per Apollo medico e per Asclepio e per Igea e per Panacea e per tutti gli Dei e le Dee, chiamandoli a testimoni che adempirò secondo le mie forze e il mio giudizio questo giuramento e questo patto scritto. Terrò chi mi ha insegnato quest’ arte in conto di genitore e dividerò con Lui i miei beni, e se avrà bisogno lo metterò a parte dei miei averi in cambio del debito contratto con Lui, e considerò i suoi figli come fratelli, e insegnerò loro quest’arte se vorranno apprenderla, senza richiedere compensi né patti scritti. Metterò a parte dei precetti e degli insegnamenti orali e di tutto ciò che ho appreso i miei figli del mio maestro e i discepoli che avranno sottoscritto il patto e prestato il giuramento medico e nessun altro. Sceglierò il regime per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio, e mi asterrò dal recar danno e offesa. Non somministrerò a nessuno, neppure se richiesto, alcun farmaco mortale, e non prenderò mai un’ iniziativa del genere; e neppure fornirò mai a una donna un mezzo per procurare l’aborto. Conserverò pia e pura la mia vita e la mia arte. Non opererò neppure chi soffre di mal della pietra, ma cederò il posto a chi è esperto di questa pratica. In tutte le case che visiterò entrerò per il bene dei malati, astenendomi ad ogni offesa e da ogni danno volontario, e soprattutto da atti sessuali sul corpo delle donne e degli uomini, sia liberi che schiavi. Tutto ciò ch’io vedrò e ascolterò nell’esercizio della mia professione, o anche al di fuori della professione nei miei contatti con gli uomini, e che non dev’essere riferito ad altri, lo tacerò considerando la cosa segreta. Se adempirò a questo giuramento e non lo tradirò, possa io godere dei frutti della vita e dell’ arte, stimato in perpetuo da tutti gli uomini; se lo trasgredirò e spergiurerò, possa toccarmi tutto il contrario.

Testo “moderno”
Consapevole dell’ importanza e della solennità dell’ atto che compio e dell’ impegno che assumo, giuro: di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento; di perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’ uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale; di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di un paziente; di attenermi alla mia attività ai principi etici della solidarietà umana, contro i quali, nel rispetto della vita e della persona, non utilizzerò mai le mie conoscenze; di prestare la mia opera con diligenza, perizia, e prudenza secondo scienza e coscienza ed osservando le norme deontologiche che regolano l’esercizio della medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della mia professione; di affidare la mia reputazione esclusivamente alla mia capacità professionale ed alle mie doti morali; di evitare, anche al di fuori dell’ esercizio professionale, ogni atto e comportamento che possano ledere il prestigio e la dignità della professione. Di rispettare i colleghi anche in caso di contrasto di opinioni; di curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza, religione, nazionalità condizione sociale e ideologia politica; di prestare assistenza d’ urgenza a qualsiasi infermo che ne abbisogni e di mettermi, in caso di pubblica calamità a disposizione dell’Autorità competente; di rispettare e facilitare in ogni caso il diritto del malato alla libera scelta del suo medico, tenuto conto che il rapporto tra medico e paziente è fondato sulla fiducia e in ogni caso sul reciproco rispetto; di osservare il segreto su tutto ciò che mi è confidato, che vedo o che ho veduto, inteso o intuito nell’esercizio della mia professione o in ragione del mio stato; di astenermi dall’accanimento diagnostico e terapeutico.

tratto da Università Magna Grecia di Catanzaro


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Rapporti tra Malattia Reumatica e terapie odontostomatologiche.

Per l’odontostomatologo la malattia reumatica assume particolare interesse per la possibilità con cui, nel paziente con pregressi episodi endocarditici, può verificarsi una riaccensione a seguito di interventi soprattutto di chirurgia orale. Tali interventi vanno dal semplice sondaggio delle tasche parodontali, ad interventi chirurgici parodontali, ad avulsioni dentarie semplici e complicate, alla terapia endodontica, etc. Pertanto, se dall’anamnesi generale del paziente dovesse risultare una positività per la malattia reumatica, tali pazienti devono essere considerati come “pazienti a rischio”.
L’odontoiatra deve, dunque, adottare una particolare cautela nel trattamento di questi pazienti allo scopo di evitare che da un semplice intervento si possa arrivare ad una situazione di vero e proprio pericolo per la vita del paziente stesso. E ciò perché, in seguito a tali interventi, si verifica una batteriemia transitoria, che può trasformare una stenosi od una insufficienza mitralica di natura reumatica in una endocardite subacuta batterica (E.B.S.).
La flora batterica orale, le tasche gengivali, i granulomi apicali, infatti, contengono numerosissimi streptococchi che, guadagnando i vasi sanguigni, agirebbero come allergeni in organismi precedentemente sensibilizzati, provocando manifestazioni patologiche più o meno violente. Tali stimoli sono innocui e di per sé non patogeni per i soggetti normali.
Un dato degno di nota è che i pazienti colpiti da endocardite batterica hanno spesso una pregressa storia di “trattamenti odontoiatrici” e, dalle statistiche di vari AA. si evidenzia che mediamente nel 10% dei pazienti affetti da tale patologia erano state eseguite, almeno tre mesi prima dell’insorgenza della sintomatologia, estrazioni dentarie.
In base a recenti ricerche, tra i fattori che possono favorire la comparsa di una batteriemia, nel corso di manovre odontoiatriche, la situazione parodontale sembra avere un’importanza di primo piano. A questa prima fase di batteriemia transitoria consegue, per fortuna solo in qualche caso, una localizzazione endocardica dell’infezione; perchè questa si verifichi è, infatti, necessario il concorso di particolari condizioni:
• durata ed intensità della batteriemia;
• la situazione immunologica del paziente ed in particolare la presenza di anticorpi agglutinanti specifici;
• pregressi episodi endocarditici.
Alla luce di quanto sopra detto, due aspetti vanno particolarmente sottolineati:
1. ASPETTO DIAGNOSTICO: l’odontoiatra ha un ruolo importante nella diagnosi della IV^ fase della malattia reumatica e, pertanto, s’impone un’indagine cronologicamente ordinata della patologia sofferta dal paziente, raccogliendo tutte quelle informazioni che consentano all’operatore di valutare le condizioni del suo paziente. Se dall’indagine anamnestica risultano malattie che possono compromettere l’intervento odontoiatrico è opportuna la richiesta di indagini cliniche ed esami di laboratorio per valutare le condizioni attuali del paziente e, talvolta, s’impone anche la necessità di un consulto con il medico curante o con il cardiologo.
2. ASPETTO TERAPEUTICO: la presenza di malattia reumatica deve orientare la terapia odontostomatologica verso particolari precauzioni che evitino complicanze indesiderate.
In particolare, gli accorgimenti che devono essere sempre tenuti presenti si possono così riassumere:
• qualunque trattamento odontoiatrico, dal semplice scaling alla chirurgia orale vera e propria, non va attuato nelle fasi acute di malattia reumatica e, se in un tale paziente sopravviene nel contempo un improvviso mal di denti, il dentista eclettico deve temporeggiare, limitandosi ad asportare la dentina rammollita e cariata ed eseguire una medicazione sedativa provvisoria, procrastinando il momento ottimale per una bonifica del cavo orale ad attacco clinicamente e biologicamente spento;
• evitare di provocare batteriemia (riducendo al minimo il trauma tessutale; non strumentando oltre apice; ripristinando la salute parodontale; etc.);
• nel cardiopatico, esposto al rischio di endocardite, quando possibile, la terapia endodontica dovrebbe essere preferibile all’avulsione del dente non solo perchè più conservativa, ma anche perchè più sicura per la salute del paziente. Nei pazienti esposti al rischio di endocardite qualsiasi tipo di intervento odontoiatrico deve essere attuato sotto larga copertura antibiotica, che deve essere iniziata un’ora prima del trattamento mediante la somministrazione di 2g di Amoxicillina per os ed in caso di allegia alla penicillina è consigliabile la prescrizione di eritromicina(Clindamicina, 600 mg, o Azitromicina 500 mg, o Claritromicina 500 mg).
In sintesi, dalle considerazioni esposte, si può concludere che:
• l’endocardite batterica subacuta (E.B.S.) rappresenta una grave complicanza in pazienti con lesioni cardiache di natura reumatica;
• la causa di tale affezione è da imputarsi ad episodi di batteriemia transitoria;
• poiché quasi tutti gli interventi odontoiatrici, dalla semplice profilassi all’avulsione di un dente, provocano una certa batteriemia,questa temibile e grave complicanza, pur rappresentando un’evenienza infrequente, deve essere ben conosciuta dall’odontoiatra che dovrà porre particolare attenzione nel trattare questi “pazienti a rischio”;
• in caso di un paziente che accenni anche vagamente di avere avuto qualche sintomo (febbri reumatiche, tonsilliti ricorrenti, dolori alle grandi articolazioni, piccoli noduli fibrosi sulle superfici dei muscoli estensori, eritema multiforme, etc.), è necessario approfondire l’anamnesi ed in caso di dubbio si consiglia di richiedere gli esami di laboratorio (VES, PCR, TAS, aumento dei leucociti neutrofili, allungamento del tratto PQ all’ECG, etc.) ed eventualmente di consultare il medico curante e/o il cardiologo;
• la profilassi odontoiatrica dell’endocardite batterica deve innanzitutto essere mirata al mantenimento di un parodonto sano;
• sulla base di ricerche sperimentali ed indagini statistiche, il comitato della “American Heart Association” raccomanda agli odontoiatri di effettuare una profilassi nei pazienti con cardiopatie organiche in tutte le manovre dentali che sono in grado di provocare un sanguinamento gengivale;
• nei pazienti a rischio, la profilassi antibiotica deve essere fatta all’inizio di qualsiasi trattamento odontoiatrico e ad ogni appuntamento successivo secondo un protocollo ben determinato, così riassunto:

PROCEDURE ODONTOIATRICHE AD ALTA PROBABILITA’ DI CAUSARE SANGUINAMENTO NELLE QUALI LA PROFILASSI VIENE RACCOMANDATA:
• Estrazioni dentarie
• Ablazione del tartaro
• Procedure parodontali
• Implantologia
• Chirurgia endodontica
• Anestesia locale intraligamentarie

PROCEDURE ODONTOIATRICHE CHE NORMALMENTE NON CAUSANO SANGUINAMENTO NELLE QUALI LA PROFILASSI NON VIENE RACCOMANDATA (ECCETTO CHE PER PAZIENTI AD ALTO RISCHIO DI ENDOCARDITE):
• Odontoiatria ricostruttiva (inclusa l’occlusione cavitaria)
• Anestesia locale non intraligamentarie
• Trattamento endodontico intracanalare
• Rimozione di sutura
• Posizionamento o aggiustamento di protesi ortodontiche
• Trattamenti con fluoro, calchi, radiografie

tratto da www.dentisti-italia.it


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Curare le gengive fa bene anche alla prostata.

Un problema alle gengive non riguarda solo la bocca, ma può influenzare anche la salute e il buon funzionamento di altri organi, compresa la prostata. È quanto emerge da uno studio recentemente pubblicato sulla rivista Dentistry e coordinato da Nabil Bissada, della Case Western Reserve University di Cleveland, negli Stati Uniti.

«Le parodontiti – così si definiscono le malattie gengivali – possono causare numerosi problemi infiammatori in diverse parti del corpo» spiega l’autore, ricordando che in passato sono già emersi legami tra problemi gengivali e decessi fetali, artrite reumatoide e cardiopatie. E per valutare l’esistenza di un’associazione anche con l’infiammazione della prostata, un problema molto diffuso che peggiora notevolmente la qualità della vita di chi ne soffre, Bissada e colleghi hanno coinvolto nella loro ricerca 27 uomini di età uguale o superiore a 21 anni.
«Tutti i pazienti erano stati sottoposti nel precedente anno a una biopsia prostatica che aveva portato alla diagnosi di prostatite e a un prelievo di sangue dal quale il livello di antigene specifico prostatico (PSA) risultava aumentato, a indicare una possibile infiammazione o anche un tumore» precisa il ricercatore.
All’inizio dello studio, gli uomini coinvolti nella ricerca sono stati sottoposti ad alcuni accertamenti: un’analisi accurata delle gengive per valutare la presenza di parodontite e un test dal quale è stato ottenuto un punteggio (IPSS, International Prostate Symptom Score) utile per valutare i sintomi di malattia della prostata. «Tutti gli uomini avevano parodontite da moderata a grave e 21 avevano prostatite assente o lieve anche se 15 avevano tumore prostatico confermato da biopsia» dice Bissada. E dopo un periodo di 4-8 settimane nel quale sono stati effettuati trattamenti efficaci per la parodontite, 21 dei 27 uomini coinvolti hanno riferito miglioramenti anche a livello dei sintomi prostatici e del livello di PSA.
«Lo studio dimostra che curare le gengive può ridurre i sintomi della prostatite e migliorare la qualità della vita degli uomini che ne soffrono» afferma Bissada, augurandosi che la cura della parodontite entri a far parte del trattamento standard della malattia prostatica. «Proprio come si consiglia un controllo dal dentista ai pazienti che si devono sottoporre a interventi cardiaci o alle donne in dolce attesa o che programmano una gravidanza» conclude.

Fonte: Dica33


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Diabete e problemi di salute orale

 

Esiste un’associazione tra disturbi gengivali e diabete?
Per molti dei quasi 21 milioni di americani affetti da diabete, potrà essere una sorpresa scoprire un’inaspettata complicazione della loro patologia. Le ricerche dimostrano che tra i diabetici esiste una maggiore prevalenza di malattie gengivali che, di conseguenza, vanno ad aggiungersi all’elenco delle complicazioni associate al diabete, quali disturbi cardiaci, ictus e insufficienza renale.
È una strada a doppio senso?
Una ricerca emergente dimostra inoltre che il rapporto tra malattie gengivali e diabete è a doppio senso. Se è vero che i diabetici sono più predisposti a contrarre malattie gengivali serie, è anche vero che le malattie gengivali possono influire potenzialmente sul controllo del glucosio nel sangue e possono contribuire alla progressione del diabete. La ricerca suggerisce che i diabetici sono soggetti a un rischio maggiore di problemi di salute orale, quali gengiviti (stadio precoce delle malattie gengivali) e parodontiti (grave malattia delle gengive). Le persone affette da diabete sono soggette a un rischio maggiore di contrarre malattie delle gengive perché sono più predisposti a contrarre infezioni batteriche e hanno una ridotta capacità di combattere i batteri che invadono le gengive.
Il Surgeon General’s Report on Oral Health stabilisce che una buona salute orale è parte integrante della salute complessiva dei pazienti. Assicuratevi di spazzolare e passare il filo interdentale in modo corretto e andate dal dentista per controlli regolari.

Chi soffre di diabete è a rischio di problemi dentali?
Se i livelli di glucosio nel vostro sangue non vengono tenuti sotto controllo in modo adeguato, siete più predisposti a sviluppare gravi malattie gengivali e a perdere più denti in confronto ai non diabetici. Come per tutte le infezioni, le malattie gengivali gravi possono rappresentare un fattore di aumento dei livelli di glucosio nel sangue e possono rendere più difficile il controllo del diabete.
I problemi orali associati al diabete comprendono: mughetto, un’infezione causata da funghi che crescono nella bocca, e secchezza delle fauci, che può provocare irritazioni,ulcere, infezioni e carie.

Come si previene l’insorgenza di problemi dentali associati al diabete?
Innanzi tutto, tenete sotto controllo i livelli di glucosio nel sangue. Abbiate, quindi, buona cura dei vostri denti e delle vostre gengive, sottoponendovi a controlli regolari ogni sei mesi. Per tenere sotto controllo l’infezione fungina del mughetto, controllate adeguatamente il diabete, evitate di fumare e rimuovete e pulite quotidianamente eventuali protesi. Un buon controllo dei livelli di glucosio nel sangue può aiutare a prevenire o, comunque, ad alleviare la secchezza delle fauci provocata dal diabete.
Cosa ci si deve aspettare dai controlli? Diabete: è giusto informarne il dentista o l’igienista?
I diabetici hanno esigenze speciali e il dentista o igienista è preparato a soddisfarle con l’aiuto del paziente. Informate il dentista e l’igienista di qualsiasi cambiamento nelle vostre condizioni di salute e dei farmaci che assumete. Rimandate qualsiasi procedura dentistica non urgente se i livelli di zucchero nel sangue non sono adeguatamente sotto controllo.

 

fonte: National Institute of Dental and Craniofacial Researchwww.colgate.it


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Parodontite e malattie cardiovascolari.

Studi epidemiologici hanno messo in evidenza una relazione tra parodontite, infarto miocardico ictus e mortalità. La perdita di un elevato numero di denti e la distruzione ossea rilevabile nel paziente affetto da parodontite grave, sono associate infatti ad una aumentata prevalenza di placche ateromatose carotidee. Nei pazienti con patologie infiammatorie del cavo orale, è stato osservato, inoltre, un aumento del rischio di infarto miocardico e di aterosclerosi. Studi clinici controllati indicano che il trattamento della parodontite migliora la funzione dell’endotelio.
L’associazione tra la parodontite e le malattie cardiovascolari si può spiegare attraverso il ruolo negativo esercitato dall’infiammazione sistemica sul processo di aterosclerosi e/o sulla destabilizzazione delle placche ateromasiche e/o sulla ipercoagulabilità.
L’origine del fenomeno potrebbe essere attribuita al passaggio di batteri dal cavo orale all’apparato cardiocircolatorio, con conseguenti gravi danni all’endotelio quando venga raggiunto il sistema vascolare coronarico. Alcuni marker infiammatori, come la proteina C reattiva, sono elevati sia nei pazienti con parodontite che in pazienti affetti da infarto del miocardio.
Altri studi evidenziano che la correlazione la parodontite e le malattie cardiovascolari potrebbe essere dovuta ad una risposta autoimmunitaria causata dall’elevata somiglianza tra alcuni peptidi antigeni di origine batterica, come le proteine HSP, e le proteine umane. Le proteine HSP sono espresse sulle membrane batteriche e possono aumentare la risposta immunitaria innata con la produzione di alti livelli di anticorpi cross-reattivi e cellule T-helper autoaggressive.
Le cellule endoteliali che possono presentare HSP in risposta a diversi stimoli, diventano più sensibili alla lisi cellulare indotta da anticorpi anti-HSP, con conseguente danno tissutale.

fonte: SIdP – Società Italiana di Parodontologia


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Il Russamento Notturno: competenza anche dell’Odontoiatra!

Data l’estrema diffusione di questo problema, è probabile che molti pazienti odontoiatrici siano anche dei grandi russatori. Per alcuni di questi, secondo la British Society of Dental Sleep Medicine (BSDSM) l’Odontoiatra può fare qualcosa: può individuare i casi che possono essere curati con un bite di riposizionamento mandibolare e quelli che invece devono essere indirizzati ad uno specialista di medicina del sonno. In mancanza di linee guida sull’argomento, l’associazione britannica BSDSM ha stilato una proposta di protocollo, pubblicata recentemente dal British Dental Journal, che elenca quello che gli odontoiatri potrebbero fare e gli strumenti che con un training mirato potrebbero acquisire per aiutare questo tipo di pazienti.

La proposta di protocollo riguarda gli odontoiatri perché essi hanno una posizione privilegiata per riconoscere i pazienti che possono avere problemi di salute derivanti dal russamento: i professionisti Odontoiatri, infatti, vedono i pazienti regolarmente e attraverso la visita hanno modo di osservare lo stato dei tessuti molli del loro cavo orale come osserva John Stradling, coautore dell’articolo che descrive il protocollo e docente presso l’Oxford Centre for Respiratory Medicine del Churchill Hospital di Oxford, in Gran Bretagna.

La causa del russamento, infatti, va ricercata nella diminuzione del tono muscolare faringeo che porta a un restringimento del canale di passaggio dell’aria durante l’inspirazione: con un adeguato training, gli odontoiatri potrebbero capire, grazie all’osservazione e a domande mirate, che tipo di paziente hanno di fronte in relazione al russamento.

Le prime informazioni da conoscere, secondo gli esperti, riguardano “l’identikit” del paziente che russa. Il russamento riguarda gli uomini in misura maggiore rispetto alle donne perché la struttura del loro collo, più ricca di muscoli e di depositi di grasso, tende con il tempo a rendere più facile la perdita di tono muscolare faringeo; anche le donne tendono ad avere lo stesso problema ma dopo la menopausa, quando il collo assume una struttura più mascolina; altri fattori predisponenti sono l’obesità, la presenza di tonsille di grandi dimensioni, il consumo di alcol, di tabacco, di farmaci sedativi e, infine, l’età: è stato stimato infatti che il 30 per cento degli adulti in generale e il 60 per cento degli uomini oltre i 60 anni sono russatori abituali.

Mentre il russamento non abituale può essere ritenuto “innocuo”, quello abituale va riconosciuto perché può comportare episodi di apnea notturna ostruttiva e avere conseguenze negative sulla salute. L’apnea notturna ostruttiva è una riduzione drastica del passaggio di ossigeno o un arresto totale del respiro per più di 10 secondi che si può verificare più volte nel corso dello stesso periodo di sonno” spiega il docente; “i microrisvegli che si verificano al momento di riprendere fiato sono alla base della pericolosità delle apnee: dal punto di vista fisiologico essi provocano infatti incrementi improvvisi della pressione sanguigna che possono peggiorare stati di ipertensione e malattie cardiache, mentre, dal punto di vista mentale, provocano uno stato di sonnolenza durante il giorno che peggiora la vita sociale e può causare incidenti”.
Come spiegano gli esperti, i gradi di gravità della apnea notturna ostruttiva sono tre: il grado lieve e moderato possono essere trattati con bite di riposizionamento mandibolare, mentre il grado severo deve essere affrontato da uno specialista. “Con gli adeguati strumenti che possono essere acquisiti con un semplice training, gli odontoiatri possono imparare a distinguere i casi di apnea notturna ostruttiva e la loro gravità, in modo da poter intervenire in modo corretto: uno degli strumenti facilmente gestibili anche in uno studio odontoiatrico è la somministrazione di un test per stabilire l’eventuale presenza di sonnolenza diurna, denominato Epworth Sleepiness Scale, che consente appunto l’individuazione del disturbo. In questo modo l’odontoiatra potrebbe intervenire con sicurezza solo laddove fosse il caso: fornire un bite a un paziente con apnea notturna ostruttiva grave, infatti, servirebbe solo a mascherarne in sintomi e a posticipare le cure necessarie” conclude il docente. “Come indica il protocollo, l’odontoiatra preparato può davvero diventare il professionista di riferimento per aiutare questo tipo di pazienti, e l’individuazione e la collaborazione con uno specialista di medicina del sonno che operi nella medesima area può completare il quadro delle risorse necessarie per trattare tempestivamente questo disturbo in maniera efficace.”

Tratto da: British Society of Dental Sleep Medicine (BSDSM) 


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L’effetto biostimolante della luce “laser” e la “finestra terapeutica”.

La luce “laser” è una radiazione elettromagnetica e come tutte le onde elettromagnetiche viene rappresentata, nel modello fisico, come un’onda che ha due grandezze fondamentali: la lunghezza d’onda e la frequenza. E sono queste due grandezze che caratterizzano ogni radiazione elettromagnetica e ne determinano le proprietà. Ma la luce “laser” è una radiazione elettromagnetica particolare poiché ha altre peculiarità. Innanzitutto ha una sola lunghezza d’onda e quindi un’unica frequenza. E questo aspetto determina la cosiddetta “monocromaticità” del fascio di luce “laser”: un solo colore. La fig.1 mostra lo spettro elettromagnetico che va dall’ultravioletto all’infrarosso passando per lo spettro del visibile. Non tutti i raggi laser saranno visibili ma solo quelli la cui frequenza cade nel campo di frequenza della luce visibile cioè tra i 400 e i 700 nm, mentre saranno invisibili se la frequenza cadrà nel campo di frequenza della luce infrarossa o ultravioletta. Questa è la motivazione per cui i dispositivi laser con lunghezza d’onda che cade nel non visibile sono muniti di un dispositivo laser supplementare che fornisce un raggio visibile detto “pilota” per facilitare l’operatività. Nella fig.2 viene schematizzata la cosiddetta “finestra terapeutica” che è un intervallo ben definito compreso fra 600 e 1400 nm in cui mancano cromofori specifici per cui il raggio laser può penetrare in profondità nei tessuti. L’interazione tra la radiazione laser e i tessuti biologici sono alla base degli effetti “benefici” del laser che, a ben vedere, sono l’imitazione di ciò che comunemente avviene in natura. A livello del mare gran parte delle radiazioni provenienti dal sole e filtrate dagli strati superiori dell’atmosfera appartengono proprio alla finestra terapeutica. Non a caso nei decenni passati, per ritemprarsi o per la convalescenza dopo una malattia, si cercava di stare al mare e al sole. Il laser terapeutico, che emette nell’intervallo della “finestra terapeutica”, nasce proprio per simulare il sole. La radiazione laser penetrando nei tessuti provoca delle reazioni biochimiche sulla membrana cellulare e all’interno dei mitocondri che inducono diversi effetti tra i quali:
• Vasodilatazione e locale ipertermia
• Aumentate richieste metaboliche cellulari
• Variazione della pressione idrostatica intracapillare
• Aumentato drenaggio linfatico
• Migliore efficacia della pompa sodio/potassio
• Maggior assorbimento dei liquidi interstiziali
• Attivazione del microcircolo
• Stimolazione metabolica
• Aumentata trasformazione dell’ADP in ATP e maggior ricambio elettrolitico tra gli ambienti intra ed extra cellulari
• Lieve modificazione del PH intra ed extra cellulare.
L’effetto antalgico avviene per aumento della soglia di percezione delle terminazioni nervose algotrope e concomitante liberazione delle endorfine. L’effetto antiflogistico, antiedemigeno, eutrofico e stimolante per il tessuto cellulare è dovuto all’aumento del flusso ematico in seguito alla vasodilatazione capillare ed arteriolare. L’effetto antiedemigeno è dovuto dalla modifica della pressione idrostatica intracapillare con aumento dell’assorbimento dei liquidi interstiziali e conseguente riduzione di edemi e attivazione per il ricambio cellulare. La trasformazione delle prostaglandine in prostacicline con conseguente blocco dei mediatori dell’infiammazione concorre a determinare l’effetto antiedemigeno e antalgico.
Ogni tipo di laser emette luce ad una determinata lunghezza d’onda che interagisce in modo diverso con i cromofori presenti nel tessuto. L’effetto terapeutico deriva dall’interazione della luce laser con il tessuto biologico interessato e la sua specificità dipenderà dalla lunghezza d’onda del laser e dalle caratteristiche strutturali del tessuto interessato.
Il raggio laser interagisce con i cromofori: si definiscono endogeni quelli presenti nei tessuti come l’acqua, l’emoglobina, la melanina, le proteine e gli acidi nucleici). Sono esogeni invece quei cromofori che vengono apportati dall’esterno e fissandosi sui tessuti li rendono fotosensibili. Pertanto i vari gradi di penetrazione della luce laser nei tessuti dipenderanno dalla lunghezza d’onda del raggio laser, dalle caratteristiche ottiche del tessuto interessato e dalla concentrazione e collocazione più o meno profonda dei cromofori, endogeni o esogeni che siano.
Diretta conseguenza di questa interazione sono gli svariati possibili campi di applicazione della laser terapia:
• Artralgie e artropatie di varia natura sia reumatica che degenerativa con e senza versamento (epicondiliti, gonalgie, miositi, poliartriti, sciatalgie, lombaggini, algie dell’ATM).
• Traumatologia generale come distorsioni articolari, tendiniti, tenosinoviti croniche, stiramenti muscolari, edemi, ecchimosi, borsiti, entesiti, strappi muscolari, fenomeni artrosici, patologie da sovraccarico e traumatismo, ecc.
• Terapia dermatologica in caso di postumi di flebiti, ulcere atrofiche e varicose, Herpes Zoster, acne, dermatiti, afte, ecc.
• Riabilitazione motoria
• Accelerazione della guarigione delle varie soluzioni di continuo: ferite, piaghe, piaghe da decubito, ulcere, fistole, escoriazioni, lacerazioni, ferite lacero-contuse, ecchimosi, ematomi, tumefazioni.

Dott. Savino Cefola


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Fertilità: maggiori possibilità di concepire con denti sani.

Le donne che desiderano avere figli devono tenere sotto controllo la propria bocca: i problemi gengivali e dei denti possono minarne la fertilità. E’ questo il risultato di uno studio recentemente pubblicato sulla rivista di settore Obstetrics and Gynecology e presentato a Stoccolma in occasione del meeting annuale della Società europea della riproduzione umana e embriologia (ESHRE).
Le donne che hanno mostrato di avere problemi gengivali sono le stesse che hanno riscontrato più problemi a rimanere incinte. Lo hanno notato gli scienziati dell’Università del Western Australia, analizzando la pianificazione e le gravidanze di 3.146 donne incinte. Di loro il 26% presentava dei problemi gengivali. Alla fine dello studio i ricercatori hanno rilevato che le infezioni a carico delle gengive arrivano ad allungare di almeno due mesi l’attesa per una gravidanza e che una igiene orale scarsa rappresenta un fattore di abbattimento della fertilità al pari dell’obesità.
Nello specifico è stato infatti rilevato che l’attesa per il concepimento per le donne affette da parodontite è stato di oltre sette mesi contro i 5 delle donne senza nessun problema. I maggiori ritardi nel rimanere incinte sono state riscontrate tra le donne con più di 35 anni, tra le fumatrici e quelle furi forma, ma tra di loro, quelle che hanno impiegato più di un anno prima del concepimento erano quelle che presentavano malattie gengivali.
Come spiega Rogert Hart, coordinatore dello studio in questione: Tutte le donne in procinto di pianificare una gravidanza dovrebbero essere incoraggiate a fare anche una visita dentistica per curare eventuali malattie gengivali prima di tentare di concepire. Più di un quarto delle donne incinte soffre di malattie gengivali e ci sono prove che queste siano collegate anche con aborto spontaneo o altri problemi come nati morti e nascite premature.
Il problema non riguarderebbe però solo le donne, ma anche la parte maschile della coppia, la cui qualità degli spermatozoi potrebbe essere intaccata dalle sostanze infiammatorie rilasciate dalle gengive infette.

Tratto da: The University of Western Australia; Medicinalive